Nicholas Rodney (“Nick” Drake) è stato un cantautore inglese.
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Con qualche mese di ritardo, ricordiamo uno dei più graditi testi pubblicati nell’anno 2014. Ci voleva un libro per tornare a parlare di Nick Drake. A raccontare, con i crismi dell’ufficialità, la sua storia, è Remembered for a while, in uscita a novembre in Inghilterra per John Murray, in occasione del quarantennale della scomparsa del songwriter britannico, ma la notizia già ha fatto parecchio rumore, accompagnata com’è da un ulteriore annuncio.
L’edizione deluxe del volume include un vinile con quattro brani tratti da una incisione per la Bbc – una delle leggendarie session radiofoniche trasmesse da John Peel – che si pensava perduta, risalente al 1969, anno in cui Drake debuttava con l’album Five Leaves Left e stava lavorando alle canzoni del disco successivo, Bryter Layter.
L’ARTISTA DI CULTO. Perché tanto interesse? Perché Drake, morto 26enne il 25 novembre 1974 a causa di una overdose – non si è mai riusciti a stabilire con certezza se volontaria o meno – da antidepressivi, pressoché sconosciuto in vita, è diventato nell’ultimo ventennio l’archetipo dell’artista di culto adottato progressivamente da un pubblico sempre più vasto.
SOLO TRE ALBUM IN VITA. La morte di Drake non fu che un trafiletto a margine – letteralmente – della vulgata musicale principale, visto che i tre album incisi in vita, incluso il commiato del 1972 Pink Moon, disco per sola voce e chitarra di rarefatta e rassegnata bellezza, vendettero pochissime copie: lavori penalizzati dall’attitudine appartata dell’autore, che non concedeva interviste e aveva smesso di fare concerti, perché, ipotizza qualcuno, le insolite accordature utilizzate rendevano le pause necessarie tra un pezzo e l’altro troppo vulnerabili al chiacchiericcio.
PARLÒ DELLA GENERAZIONE. Non accettava di misurarsi con un pubblico distratto Drake, ma allo stesso tempo era animato dal bisogno di parlare alla sua generazione, di tradurre in termini che fossero comprensibili al maggior numero di persone il proprio sguardo visionario e ipersensibile; e anche ai posteri, viste gli innumerevoli indizi disseminati nelle canzoni: quasi come se sentisse, si spinge a dire qualcuno, che la sua fama avrebbe avuto inevitabilmente un destino postumo. Un dissidio interiore, tra incomunicabilità e bisogno di riconoscimenti, che lo porterà sulla strada della depressione, con flebili tentativi di uscirne – incluso un viaggio parigino per incontrare senza esito la cantautrice Françoise Hardy – interrotti tragicamente una notte d’autunno del 1974.
LE CANZONI NEGLI SPOT. Poi, nel 1979, usciva Fruit Tree, un box antologico che incominciò a far crescere il culto. Un passaparola a lungo discreto, diffuso tra gli appassionati e i colleghi che non avevano potuto conoscerlo in tempo reale per motivi anagrafici (tra i fan Kate Bush, Robert Smith, Paul Weller, Beck), fino a quando la Volkswagen, nel 1999, scelse una sua canzone, Pink Moon, e la utilizzò per lo spot della Golf.
I suoi possibili eredi: da Elliott Smith a Sufjan Stevens
Da quel momento in poi i tributi si sono moltiplicati, tributi in termini di discendenza artistica (l’acustico Pink Moon pietra di paragone per qualsiasi cantautore indipendente deciso a raccontarsi in intimo dialogo con la propria chitarra, e una serie sterminata di possibili eredi, consapevoli o meno di esserlo: Elliott Smith, Sufjan Stevens, Badly Drawn Boy), ma anche documentari (A Skin Too Few dell’olandese Jeroen Bervens, uscito nel 2000, e il televisivo Lost Boy del 2004, prodotto dalla Bbc con Brad Pitt, altro fan d’eccezione, nelle vesti di narratore) e, naturalmente, biografie, tra tutte quella imponente di Patrick Humphries.
PERSONAGGIO FRAGILE. Nel corso dell’ultimo decennio sono usciti anche materiali d’archivio, un paio di antologie pubblicate 10 anni fa, Made to love magic e A treasury, quest’ultima una raccolta di registrazioni adolescenziali casalinghe le quali hanno fatto venire il dubbio che ci si fosse spinti troppo in là nell’indagare la vita di qualcuno che aveva scelto di parlare solo attraverso le canzoni.
Un caso da manuale di sfruttamento mercantile del defunto? Non esattamente, poiché in ballo c’è senz’altro anche l’indecifrabilità e la fragilità del personaggio, l’enorme fascino esercitato da un animo imploso sul quale è stato (ed è) possibile fantasticare all’infinito.
SCONTRO SULLE INCISIONI. La fame di inediti non è comunque ancora cessata: è recente la notizia che alcuni nastri in possesso di Beverley Martin (vedova del folksinger John: entrambi furono tra i pochissimi confidenti di Drake), che avrebbero dovuto andare all’asta per alcune centinaia di migliaia di dollari, sono stati bloccati dai legali della famiglia del songwriter britannico, che hanno messo in discussione la proprietà delle incisioni.
Non sappiamo se quei nastri vedranno in qualche modo la luce, quel che è certo è che, per la prima volta, con Remembered for a while sembra palesarsi la necessità di ufficializzare il canone drakeiano.
LA SORELLA NEL PROGETTO. Gabrielle, sorella celebre negli Anni 60 per aver fatto parte del cast della serie televisiva Ufo, ha lavorato al progetto per sei anni, curando e selezionando i materiali inclusi testi di canzoni autografi e lettere alla famiglia, includendo le testimonianze del produttore-scopritore Joe Boyd e di Robert Kirby, il da poco scomparso arrangiatore dei primi due album.
Il tentativo di ‘storicizzare’ e canonizzare un lascito artistico che tuttavia molto difficilmente riuscirà a mettere la parola definitiva su una storia per sua natura sfuggente, enigmatica, aperta a molteplici chiavi di lettura.